giovedì 8 agosto 2013

Talkin' about Dark concert

Mettiamola così: di Keith Jarrett vs Perugia si è già detto e scritto tutto, ma chi quel giorno - il 7 luglio - ha assistito al concerto del trio all'Arena Santa Giuliana ha il diritto-dovere di testimoniare. Solo per aiutare a capire, nulla di più. Capire perché un musicista arrivi al punto di suonare al buio per impedire al pubblico anche la tentazione di una foto ricordo con la reflex o con l'onnipresente (nelle nostre vite) telefonino cellulare. Capire perchè un artista arrivi al punto di non ritorno autolesionistico di sabotare la sua opera d'arte per fare un dispetto al suo pubblico (peraltro pagante, e a carissimo prezzo, magari giunto a Perugia dopo aver attraversato mari e monti). Premesso che sono note agli appassionati di jazz le manie compulsive, gli eccessi paranoici e le pretese esagerate del pianista americano, che da decenni tormenta gli organizzatori e fruitori dei concerti. E premesso anche il valore straordinario del musicista, che mai è stato in discussione (tanto meno dopo l'ultima magnifica incisione Ecm, il per mille motivi sorprendente "Somewhere" che ci riporta indietro alle alte vette delle session live del Blue Note, a New York). Detto ciò, il punto vero è un altro: perché queste cose succedono quasi sempre e quasi solo in Italia? Mi chiedo perchè se per assistere a un gran concerto siamo generosamente disposti a spendere una cifra consistente, ma non mostriamo la stessa generosità (e sensibilità) nei confronti dell'artista che avrà anche le sue manie e paranoie ma suona comunque da dio. Come nessuno più al mondo. Sappiamo già come va a finire la storia, eppure accettiamo quella che sembra sempre più una sfida personale con il risultato incomprensibile che paghiamo (caro) per assistere a un concerto al buio, carico di tensione, senza bis e con "toreada" finale. Mi chiedo chi è il vero autolesionista, Jarrett o il suo pubblico pagante e consapevole sabotatore. La critica musicale, all'unanimità, ha duramente accusato Jarrett di ogni vigliaccheria possibile e immaginabile. Troppo facile e populistico. Al contrario, personalmente un bel calcio nel sedere io l'avrei dato volentieri al mio vicino maleducato armato di fotocamera e flash che stava sabotando il concerto (mio e anche suo, di tutti i paganti). Sì, perché tra artista e pubblico il rispetto deve essere reciproco. Esattamente come accade nel resto del mondo. A questo proposito, illuminante l'ultimo numero del mensile Musica Jazz, sempre autorevole nei giudizi, dove il direttore Luca Conti e una delle firme più prestigiose, Franco Fayenz, hanno severamente censurato il comportamento di Jarrett. Salvo scoprire che, poche pagine più avanti, nella rubrica fondamentale dedicata alla stampa internazionale, Gian Mario Maletto citava una intervista rilasciata dallo stesso Keith Jarrett ad Alyn Shipton (critico e storico molto conosciuto e apprezzato in tutto il mondo) e pubblicata sul magazine inglese Jazzwise dello scorso giugno. Con grande serenità e senza alcuna polemica Jarrett e Shipton discutono dell'invadenza eccessiva di fotografi e cineasti durante i concerti e dell'esigenza di ogni artista si salvaguardare l'unicità e la personalità della propria arte. Buone regole per tutti, evidentemente, ma non per noi che andiamo a un concerto come se fosse lo zoo dove fotografare e lanciare noccioline all'animale in gabbia. E guai se non si presta al gioco dello spettacolo... La musica è soprattutto gioia, ma anche cultura e rispetto.

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